La tassazione di tokens ceduti ai fondatori dalla società emittente.

Il tema delle imposte dirette e indirette che impattano sulle società (persone giuridiche) emittenti di tokens, assume grande interesse e complessità, sia per quanto concerne la loro qualifica sia per quanto riguarda il valore di attribuzione in assenza di un mercato.

Con riferimento alla qualificazione, è noto come in fase di progettazione e sviluppo dell’attività o del prodotto, le startups non abbiano a disposizione ingenti capitali, ma soprattutto, nella stragrande maggioranza dei casi, non siano ancora in grado di produrre alcun reddito. Il fondatore della società, per non recare un onere finanziario alla società, di regola non è assunto , o è assunto con un salario minimo, e questo per tutto il periodo di progettazione. Come emolumento per questa prestazione lavorativa, il fondatore di regola chiede di essere pagato mediante la cessione di futuri token emessi dalla società stessa. Quando egli opta per questa modalità di pagamento, tuttavia, il valore del token è nullo. Una volta emesso il token, di solito dopo mesi o anni di lavoro, si pone la domanda di come debba essere tassata questa retribuzione. In pratica, la prima domanda da porsi è a sapere se si tratta di uno stipendio o di una distribuzione dissimulata di utili.

Come previsto dall’art. 58 cpv. 1 lett. b della legge sull’imposta federale diretta (LIFD), siamo infatti in presenza di una distribuzione dissimulata di utili, qualora, conformemente alla giurisprudenza del Tribunale Federale (DTF 140 II 88, consid. 4.1.), si verifichino cumulativamente tre condizioni:

  • • la prestazione da parte della società deve essere concessa senza una corrispondente controprestazione;
  • • con la prestazione si andrebbe a favorire direttamente o indirettamente un azionista o persona vicina, cioè essa non sarebbe stata concessa ad un terzo indipendente alle stesse condizioni;
  • • la sproporzione tra la prestazione e la relativa controprestazione deve essere riconoscibile dagli organi della società, ovvero il vantaggio all’azionista deve essere stato dato intenzionalmente.

Se tuttavia la seconda e la terza condizione potrebbero destare dubbi, sicuramente oltre alla mancanza della sproporzione tra la prestazione e la relativa controprestazione data da quest’ultimo punto, è soprattutto la prima condizione ad escludere una distribuzione dissimulata di utili, in quanto il fondatore, a tutti gli effetti, sta effettuando delle prestazioni in favore della società, giustificate dall’uso commerciale e retribuite sotto forma di token. Inoltre, se la prestazione fosse stata effettuata da un terzo soggetto indipendente, egli sarebbe stato comunque retribuito per il lavoro svolto. Possiamo pertanto ritenere che il pagamento di token ai fondatori sia da qualificare come un salario e non come un dividendo.

Più difficile invece è la domanda a sapere quale è il valore fiscale dei token consegnati ai fondatori. Sulla base di quanto previsto dal documento di lavoro dell’Amministrazione Federale delle Contribuzioni (AFC) del 2018, il valore di riferimento è da considerarsi quello del token al momento della ricezione della prestazione ovvero al momento dell’acquisizione di un diritto legale connesso alla prestazione. Il documento di lavoro dell’AFC del 2021 (p. 11), tuttavia, indica che“i token emessi nel processo di fondazione devono essere valutati come minimo in modo analogo ai token emessi a dei terzi indipendenti durante le fasi di pre-Sale. Se non è possibile determinare il valore di stima attuale, il token deve essere dichiarato al prezzo di acquisto iniziale, convertito in franchi svizzeri”..”

Tuttavia, questa prassi non tiene in minima considerazione il rischio dei fondatori, che ricevono un pagamento in token molto prima della fase di pre-Sale. A nostro avviso è possibile riconoscere ai fondatori anche un valore inferiore al valore pre-Sale, a condizione che tra il momento della pre-Sale e l’inizio dell’attività del fondatore sia trascorso un lasso di tempo sufficiente per generare il valore del token pre-Sale. Chiaramente, il token non potrà essere ceduto a un valore pari a zero.

Una volta versati ai loro fondatori, i token sono considerati ai fini fiscali dall’AFC alla stregua di un semplice mezzo di pagamento o meglio come una valuta estera “tradizionale”. Pertanto, nei casi di rimunerazioni in criptovalute, le stesse sono fiscalmente da considerare come redditi in valuta estera, valutati come minimo in modo analogo ai token emessi a dei terzi durante le fasi di pre-Sale, da convertire in CHF al cambio del giorno o al cambio medio. Non vi sono invece ulteriori conseguenze fiscali, come l’imposta preventiva e le tasse di bollo.